martedì 2 aprile 2013

THE DEAR HUNTER - Migrant (2013)


Ogni qual volta mi capita di parlare o recensire un nuovo lavoro dei The Dear Hunter devo fare uno sforzo per trattenere la mia vena polemica nei confronti di riviste, o settimanali e quotidiani di gran distribuzione che, saltuariamente, tra le pagine musicali, scrivendo un articolo - che so, ad esempio - sui Mumford & Sons, credono di segnalare il fenomeno alternativo-indipendente del momento, cercando di passare per dei fighi e mettersi a posto con la coscienza. La cosa che più mi infastidisce è che si tenta di attribuire a questa gente anche un minimo di talento, quando invece hanno solo un ufficio stampa e dei manager più efficaci di altri. Il vero peccato di questo meccanismo perverso è che personaggi di genuino talento come Casey Crescenzo (ovvero il titolare della sigla The Dear Hunter) rimangono penalizzati ad attendere che qualcuno si accorga di loro in un sottobosco ancor più riparato dalla fama.

Detto questo e alla luce da quanto prodotto sinora da Casey Crescenzo, posso affermare che egli è a tutt'oggi il miglior cantautore e/o autore di progressive rock della sua generazione, non solo della scena statunitense, ma mondiale, riuscendo a svettare in questi due ruoli ben distinti. Ho citato il paragone con  il successo mainstream di gruppi alternativi poiché la musica di Crescenzo possiede una potenzialità trasversale da poter compiacere un pubblico più vasto rispetto a quello a cui è relegato in questo momento. Una cosa che Migrant potrebbe conseguire grazie alle sue melodie pop, dolcemente romantiche e ambiziose, che qualcuno potrà trovare oltremodo zuccherose. In tal senso Crescenzo si distacca dal concept barocco degli Act I-III nella forma, ma non nella sostanza, applicando quegli arrangiamenti fastosi a normali canzoni.

Crescenzo è in pratica l'unico ad avere introiettato la lezione delle musica popolare americana, nell'accezione più ampia del termine, commistionandola con il rock alternativo e progressivo attraverso una personale liricità e sensibilità finora ineguagliate. L'unico che abbia veramente aggiunto a questi generi qualcosa di individuale e riconoscibile. Le sue composizioni spaziano con versatilità e varietà in una ricognizione a tutto tondo della scuola di tradizione americana, figlie dirette di Tin Pan Alley, del musical più classico e delle solari armonie della West Coast anni '60.





Migrant è come un compendio degli stilemi già toccati sul monumentale progetto The Color Spectrum e ci consegna un songwriter sicuro dei propri mezzi che sa maneggiare la materia musicale da consumato arrangiatore. Crescenzo mette qui in gioco tutta la sua abilità orchestrale, dando vita ad una serie di canzoni raffinate ed emozionanti, tra le quali l'anticipato singolo Whisper è il coronamento di tanto splendore. L'inaugurale Bring You Down, ad esempio (con tanto di archi e ottoni), è fondata su delle dinamiche in crescendo le cui varie sezioni melodiche sono architettate per provocare emozioni e stupore mano a mano che la canzone si sviluppa e si rivela. Shame è un incrocio tra musical e soul music, con una elegante linea di violini che fa da sfondo ad un motivo sensuale e misterioso. D'altro canto tale compendio ha pure il suo rovescio della medaglia quando si tratta di spingere l'accelleratore sul pop rock, tanto che The Kiss of Life e Shouting in the Rain risultano piuttosto ordinarie e sottotono rispetto al resto.

Il beat di Girl si dipana in un chorus semplicemente meraviglioso cantato da Azia Crescenzo sorella di Casey. Su Cycles e Sweet Naivité Crescenzo lavora in punta di fioretto su belle modulazioni armoniche, mentre This Vicious Place, con le sue atmosfere oniriche marcate soprattutto dall'assolo finale, sembrerebbe un velato omaggio agli Allman Brothers e Let Go rivela quell'alone epico tipico degli Act. L'album si conclude con Don't Look Back una pacata orazione con echi di folk americano e irlandese. Tutto sommato, considerando la sua prolificità, Casey Crescenzo è una macchina da guerra musicale, fisiologicamente incapace di scrivere anche un solo brano mediamente mediocre, arrivato al quarto album in studio (o quinto se si contano i 9 EP di The Color Spectrum) senza mai sbagliare un colpo.




http://www.thedearhunter.com/

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