martedì 21 aprile 2015

MEW - +- (2015)

 
Parlando del nuovo album dei Mew sarebbe giusto fare una riflessione su come oggi siano cambiati i tempi discografici. Pensando all'argomento, a parte il caso emblematico dei Tool, non si può fare a meno di prendere come riferimento i Mew. Lontani sono i tempi degli anni '70 e '80 quando, tra un album e l'altro, poteva intercorrere uno, due o al massimo tre anni. Da molto tempo ormai la media di attesa è salita a quattro o addirittura cinque anni, ma sei, ovvero il periodo trascorso dall'ultima fatica del gruppo danese a oggi, sono veramente un'enormità. Magari ormai siamo assuefatti a tale sistema, ma la cosa si fa ancora più incredibile se si pensa che nei dieci anni intercorsi dall'uscita di And the Glass Handed Kites (settembre 2005) i Mew abbiano prodotto un solo album. Ce ne sarebbe abbastanza per aprire anche un dibattito su come le moderne tecnologie abbiano rallentato, invece che accelerato, i tempi di produzione. E lo chiamano progresso.
 
Quindi, come valutare la maturazione di una band con una produzione così esigua in un arco di tempo così lungo? Naturale che anche il proprio sviluppo artistico sia messo in tale prospettiva e che abbia intrapreso un percorso lento e a tratti impercepibile. In parole povere i Mew sono sempre i Mew e la loro tecnica di lavorare artefatti di raffinato pop barocco rimane quasi invariata, a parte qualche piccolo appunto. +- non si inerpica nelle zone di complessità strumentali sperimentate con No More Stories, ma ritorna invece a latitudini più sicure e confortevoli per loro, tipo una via di mezzo tra Frengers e And the Glass Handed Kites. Così appaiono le spensierate armonie di The Night Believer (con ospite una Kimbra molto misurata), i groove suadenti di Making Friends e di Water Slides o l'ibrido tra post punk e art pop di My Complications e Witness.
 
In aggiunta, prendendo ancora come esempio comparativo And the Glass Handed Kites,+- ne ribalta le prospettive estetiche. Se quell'album capolavoro di dieci anni fa assemblava delle pressoché perfette melodie electro-pop dal gusto ottantiano, aggiungendoci accorgimenti stilistici tipici del progressive rock, qui si arriva al contrario. Questa volta i Mew vogliono articolare le loro canzoni partendo da presupposti progressivi (come, ad esempio, dilungarsi sulla narrazione musicale, confondere con deviazioni tematiche ad effetto e aumentare l'apporto delle tastiere e dei sintetizzatori fino quasi a far scomparire la chitarra), lasciando la materia pop rock sullo sfondo a dare slancio. Da questo lato troviamo Clinging to a Bad Dream che è una perfetta dinamica tra ritmiche ballabili e una costruzione cervellotica di melodie robotiche e Rows che sembra un tentativo di mini-suite tra suggestioni psichedeliche e pop ballad.
 
Infine +- è un album di grandi ritorni: la band ha ri-accolto nelle sue fila il bassista Johan Wohlert che aveva abbandonato i suoi tre compagni nel 2006 per dedicarsi alla famiglia ed in più il produttore è di nuovo il grande Michael Beinhorn, lo stesso che aveva creato la magia di And the Glass Handed Kites. La produzione è, naturalmente, uno dei punti di forza di questo album e non poteva essere altrimenti visto chi siede dietro al banco di regia. Ammettere che ascoltare in cuffia Satellites è una bellissima sensazione (non la versione edit uscita come singolo) - con tutte le stratificazioni che ne arricchiscono lo spettro sonoro - sarebbe piuttosto limitativo...è uno spettacolo simile ad un film in 3D. Tirando le somme, manca comunque all'interno dell'album un brano che si elevi per forza e incisività sugli altri, tutto è uniformato a una ricerca degli equilibri che risultino non troppo complessi, ma che non concedano neanche il fianco a melodie troppo smaccate. Un lavoro ad ogni modo che lascia delle buone vibrazioni.

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