mercoledì 25 maggio 2016

FROST* - Falling Satellites (2016)


Se Jem Godfrey nel 2008 non avesse gettato la spugna con i Frost* dopo il secondo album Experiments in Mass Appeal, avrebbe potuto essere considerato a tutti gli effetti una specie di messia del prog moderno. Invece, in mezzo a questo lasso di tempo c'è stata una pausa di otto lunghi anni nei quali Godfrey ha deciso di eclissarsi dal suo progetto prog e ritornare dietro le quinte, concentrandosi sui suoi lavori di produzione per rallentare i ritmi per lui usuranti imposti dall'essere il leader di una band. Il ritorno dei Frost* è avvenuto quindi lentamente con la pubblicazione di un DVD live nel 2013, qualche data dal vivo e l'annuncio di due nuovi album che avrebbero costituito un progetto unitario intitolato Six Minutes In September, idea poi abbandonata in favore di questo Falling Satellites che nasce sotto i migliori auspici. Godfrey ha ricostituito il gruppo con il fidato John Mitchell alla chitarra (Arena, It Bites,Kino, Lonely Robot) e richiamando Nathan King al basso (che aveva sostituito John Jowitt) e Craig Blundell alla batteria, ma senza più Dec Burke. Come sempre, Mitchell condivide le parti vocali con Godfrey e questa volta anche il songwriting. Al che, questa notizia non può che creare un valore aggiunto all'opera, dato che che Mitchell, oltre ad essere un chitarrista di livello eccelso (vogliamo ricordare Black Light Machine?), è anche un ottimo compositore.



Nonostante lo stop forzato, Godfrey ha sempre dichiarato fin dall'inizio che sarebbe ritornato con i Frost* per un altro lavoro, anche per onorare il contratto con la InsideOut che prevedeva tre album, ma nessuno sapeva esattamente quando. Nel frattempo, il culto della band è giustamente cresciuto e con esso anche l'attesa. Considerando che i primi due lavori dei Frost* sono ormai dei classici indispensabili per capire come si possa produrre oggigiorno progressive rock con le moderne tecnologie, sfruttando tutte le commistioni ibride che ha da offrirci l'elettronica tanto detestata dai puristi, Falling Satellites si spinge ancora più in là. Non che vada a concorrere con l'ipetrofia sintetica di Experiments in Mass Appeal ma, partendo da quelle premesse, Falling Satellites osa aggiungerci tonnellate di chorus epici che scaturiscono da progressioni audaci e synth a profusione come sottolineano Numbers, Signs (molto nello stile di Mitchell e degli It Bites) e Heartstrings, raggiungendo livelli eccelsi sulla multiforme The Raging Against the Dying of the Light Blues in 7/8.

Godfrey rischia seriamente di inventare un nuovo genere che andrebbe catalogato sotto il nome di techno prog rock, non avendo paura di confrontarsi con beat a metà strada tra il drum n' bass e l'R&B (confondendo batteria umana ed elettronica) sulla sorprendente Towerblock, un'impressionante opera di montaggio digitale da rimanerne storditi, senza tralasciare le inclinazioni pop con cui spesso ha a che fare nelle vesti di produttore, mettendo sul piatto momenti più riflessivi come Lights Out e Last Day. L'esperimento con il pop continua su Closer to the Sun (che vede una breve comparsata di Joe Satriani nel solo centrale) e viene declinato in ambiti sempre pronti allo sconfinamento con quel prog anni '90 di Porcupine Tree, Ozric Tentacles e Steve Hillage che andava a flirtare con la cultura trance/dance molto vicina ai The Orb. Con la strumentale Nice Day for It... (una citazione da "Guida Galattica per Autostoppisti") si ritorna a quelle citazioni sonore che ricordano le soundtrack plastiche degli anni '80 di cui parlavamo già nella recensione di Affinity degli Haken (e quando si decideranno a fare un monumento postumo all'ingiustamente dimenticato Vince DiCola sarà sempre troppo tardi). Con Falling Satellites i Frost* non fanno altro che farci rimpiangere la loro assenza durata anche troppo tempo, regalandoci un altro album pazzesco.



 http://frost.life/

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