giovedì 7 luglio 2016

Teoria delle forme: Astronoid - Air (2016)


Quando ti vengono in mente i paragoni più distanti tra loro nei quali racchiudere un'unica band, si palesa il pensiero di come la concezione di genere stia sempre più tramontando in favore di molteplici sfumature senza confini. In altre parole, al netto di praticità, è sempre più frequente l'uso di termini compositi per descrivere un singolo gruppo e, in tal senso, più distanti risultano questi generi, maggiori sono le possibilità di apparire freschi e nuovi. Proseguendo il discorso che cercai di abbozzare presentando gli Stage Kids, sembra che il futuro e la missione della popular music* contemporanea non sia reinventare se stessa, ma progredire attraverso la contaminazione.
(*Piccola parentesi: attenzione al termine popular music che non è un sinonimo di "pop music" ma, come molti musicologi sottolineano, generalmente indica l'inclusione di tutte quelle musiche di consumo popolare che non siano musica classica (o colta che dir si voglia) e musica etnica.)

A partire dagli anni '50, con l'avvento del rock and roll e proseguendo poi nelle sperimentazioni di fine anni '60/inizio anni '70, molti generi erano ancora inediti e definirono lo loro genesi, poiché prima non esisteva nulla di tutto ciò: psychedelic rock, hard rock, progressive rock, heavy metal e così via. In sintesi, nel passato per comprendere l'appartenenza ad un dato movimento rock bastavano peculiarità semplici, ma distintive. Con il passare del tempo abbiamo assistito alle fusioni e ai termini più disparati in ogni ambito rock come chamber pop, post rock, jazzcore, prog metal, fino ad arrivare agli assurdi e fantasiosi abbinamenti inventati dalle stesse band nelle proprie pagine Facebook.

Quindi, a quale cambiamento possiamo ambire se è già stato tutto sperimentato? Eppure, l'unione degli opposti estremi, ha aperto nuove interessanti possibilità. Il progressivo sgretolarsi di molte barriere che ha portato all'incontro tra generi apparentemente inconciliabili credo abbia dato l'occasione di andare oltre la semplice definizione di sottogenere. Prima si è partiti con l'unire la progenie del punk - il post hardcore - con il progressive rock e nel presente si è arrivati a capire che nessuna contaminazione è più un tabù: il math rock ha trovato un suo completamento molto naturale nel jazz; il djent, partito dalle premesse più estreme del metalcore, è arrivato a combinarsi con le eteree forme divergenti dell'ambient e, nel frangente strumentale, con la fusion. Non è un discorso scontato, perché nell'immenso ed eclettico panorama musicale non è semplice riconoscere chi si distingue in questo senso, ancora non sono in molti a cimentarsi in quel salto che porti oltre il sottogenere, ma penso che l'assenza di inibizioni e la spregiudicatezza con la quale una band potrà accostarsi a vari generi, può fare veramente la differenza nella ricerca dell'originalità.



Ad esempio, gli Astronoid si sono messi alla prova in un debutto tutto considerato controverso che, per i detrattori, apparirà come una pratica da derubricare all'interno del death metal per hipster, ma che, per chi non ha problemi con i limiti concessi dai generi, Air - questo il titolo - potrebbe mandare in pensione anticipata in un colpo solo Deafheaven e Alcest, solo per fare due nomi a caso. Usando un'estetica tipicamente blackgaze e thrash metal, gli Astronoid mettono da parte growl e harsh vocals, vi inseriscono esclusivamente vocalità riverberate e con toni elevati, quasi ai confini tra Yes e Mew (ascoltare il finale di Tin Foll Hats), con forti accenti dreampop e con una resa globale molto simile ai coaguli elettro-spaziali dello shoegaze. Come al solito, coloro che potrebbero storcere il naso sono i puristi ma, se c'è una cosa che questo articolo e questa direzione ci vuole insegnare, è che il purismo è la madre di tutte le cazzate.

Partiti con due EP che facevano intravedere l'ombra dei Cynic tra i punti di riferimento, gli Astronoid hanno pensato bene di rendere il loro sound più personale. Come conseguenza, l'ascolto di Air è un'esperienza piuttosto singolare, in quanto si viene travolti dalle scariche di riff a mitraglia e doppia grancassa - come se dietro ci fosse un gruppo che emula Devin Townsend, Voivod e Vektor - tanto da aspettarsi un approccio brutale e aggressivo da parte di tutta la band. Invece entrano in gioco queste voci estremamente melodiche e ai limiti del dreampop angelico, creando un contrasto da corto circuito. Ed è proprio qui che sta il trucco: il superamento del sottogenere come deviazione dal filone principale si compie attraverso un proprio sviluppo che consente l'interazione tra stilemi opposti, non limitandosi a mera estetica bipolare, ma modificandone i connotati per creare qualcosa di inedito. Il metal, inoltre, in questo caso funziona bene come esempio poiché è uno di quei generi che è stato sottoposto a qualsiasi tipo di rimaneggiamento, eppure gli Astronoid, che piaccia o meno, hanno escogitato per esso una nuova possibilità proprio attuando l'azione dei poli contrastanti che si incontrano. Ciò che in pratica distingue Air da tutte le ramificazioni metal di cui sopra è il non fermarsi alla superficie per privilegiare come sempre solo l'aspetto metal, ma accentuare in parti uguali gli stilemi dai quali prende spunto e si ciba. Non c'è nulla di subordinato in Air, la componente dream/shoegaze è importante tanto quanto quella thrash metal.



www.astronoidband.com

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