martedì 16 maggio 2017

Bryan & the Aardvarks - Sounds From The Deep Field (2017)


Una volta Robert Wyatt disse a proposito di Phil Miller: "Phil è l'unico chitarrista che non mi fa girare le palle". Chissà se Wyatt adesso ascoltasse i Bryan & the Aardvarks gradirebbe le escursioni chitarristiche jazz di Jesse Lewis presenti su Sounds From The Deep Field, in qualche modo così simili a quelle che Miller proiettava pacatamente ma con decisione negli album di Matching Mole e National Health.

Sounds From The Deep Field è fondamentalmente un disco jazz, ma anche così trasversalmente chamber pop da far risuonare il Canterbury Sound nei ricordi di ogni appassionato (Strange New Planet su tutte), aggiungendo negli aspetti fusion anche qualcosa del lirismo del Pat Metheny più orchestrale (Bright Shimmering Lights, Soon I'll Be Leaving This World). Il gruppo che dà vita a questa magia si chiama Bryan & the Aardvarks ed è stato assemblato dal contrabbassista texano, ma residante a New York, Bryan Copeland, che insieme a Chris Dingman (vibrafono), Fabian Almazan (piano) e Joe Nero (batteria) aveva già realizzato nel 2011 Heroes of Make Believe e adesso amplia la formazione con l'ingresso di Lewis, appunto, e della cantante e chitarrista Camila Meza (attiva anche come solista) che con i suoi vocalizzi all'unisono con la chitarra di Lewis richiama inevitabilmente le Northettes degli Hatfield and the North (Supernova).

Le dieci tracce contenute all'interno di Sounds From The Deep Field hanno come ispirazione il campo profondo di Hubble (Hubble Deep Field), unite quindi in una sorta di concept sull'universo che sarebbe perfetto per un album a sfondo psichedelico o space rock. Ma il disco si muove in delicati campi di post bop melodico, aggraziato per la maggior parte dal tocco delicato del vibrafono e da quello armonico del piano, ma che sa anche farsi strada in momenti solisti più ricercati e avant-garde.


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